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L’amica geniale: la recensione dell’intera quadrilogia di Elena Ferrante

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Ho appena terminato di leggere Storia della bambina perduta, ultimo atto di una saga, iniziata con L’amica Geniale, scritta da Elena Ferrante e divisa in quattro libri, e mi sono imbattuta nella recensione diJacopo Cirillo su Linkiesta.it al quale mi rivolgo sin d’ora per spirito di emulazione e sincera condivisone dei punti di vista espressi.

“Ho deciso di partecipare alle “Ferrantiadi”, il primo campionato mondiale di binge-reading della quadrilogia di Elena Ferrante. Unico partecipante: io”.

No, caro Jacopo, anche io ho partecipato alle Ferrantiadi, nell’edizione invernale ed in solitaria. Iniziando da pagina 1 del primo libro il 19 dicembre e terminando l’ultimo il 18 gennaio. Ci ho messo circa un mese, contando anche la partecipazione a cenoni, pranzi e la resistenza alle orde barbariche dei parenti di stagione. 
Le mie letture si concentrano, anzi, si sostanziano unicamente, nei momenti di nanna dei miei figli, in particolare, di Giulia. La creatura dorme rigorosamente con la testa appoggiata sulla mia spalla e, possibilmente, attaccata al mio seno. Eviterò in questa sede di evocare spiacevoli immagini relative alla somiglianza delle mie mammelle con pendule orecchie di cane di razza Cocker, frutto di tale prassi consolidata, per rispetto di chi legge. 
Preciso soltanto che, in tali condizioni, mi è impossibile leggere in formato cartaceo e, quindi, leggo solo libri in formato digitale poiché sarebbe impossibile reggere il libro con una mano sola e contemporaneamente sfogliare le pagine. Il tutto al buio, rigorosamente al buio. 

Merito almeno una medaglia di partecipazione, no, che ne dici?


Ma veniamo al dunque. Che ne penso? Mi è piaciuta? Sì e no.
Sono d’accordo con Jacopo: “E’ una lettura perfetta per chi legge poco”, perché dopo aver letto il primo libro non puoi fare a meno di iniziare a leggere il secondo e, allora, non ti fermi più.

Non mi importa chi sia Elena Ferrante, potrebbe essere una donna, un uomo o un pool di scrittori messi insieme appositamente per costruire una macchina letteraria. Chiunque abbia scritto il primo libro è riuscito a trovare la formula giusta per attirare a sé il lettore proponendogli una storia fatta di vita e particolari dell’infanzia nei quali ognuno di noi, a suo modo, può ritrovarsi, lasciandosi travolgere dall’onda dei ricordi e dalla loro confortante sensazione di appartenenza.
Sono riaffiorati in me dubbi e paure che pensavo sopiti, la sensazione di smarrimento che ha accompagnato il momento immediatamente precedente una scelta, quella immediatamente successiva di orgogliosa rivendicazione, l’amaro in bocca ed il disgusto per tutte quelle volte in cui mi sono sentita completamente fuori luogo, la fatica per la ricerca di un equilibrio che ogni volta ti illudi di aver faticosamente e definitivamente raggiunto, ma che la vita, con un nuovo lancio di dadi, fa saltare ancora una volta in aria.
Le regole commerciali e l’onda del successo hanno spinto verso la necessità di aggiungere un po’ troppe pagine annacquando e disperdendo tutto questo.

Mi piace il registro linguistico, le parole in dialetto e quelle di uso comune, il discorso indiretto che ti catapulta in mezzo alle frasi, alle descrizioni.

“Mi portò a vedere il posto dove lavorava, che era in piazza Municipio. Anche lì, disse, tutto era diventato nuovo, tagliate le piante, spaccato tutto: ora vedi quanto spazio, l’unica cosa vecchia è il Maschio Angioino, però è bello, piccerè, due maschi veri ci sono a Napoli, papà tuo e quello lì”. (da L’amica geniale)

Non mi piacciono loro, le protagoniste.
Elena è troppo problematica, ma spesso si dimentica delle conseguenze che le sue azioni producono sugli altri, a volte sembra tirarsela rivendicando con un “io” molto insistente le umili origini e le (alte?) vette giornalistiche raggiunte, ma poi si abbandona al corso degli eventi anche quando sa questi la trascineranno verso il fondo come le sabbie mobili.

“Possibile che io, bassina, troppo piena, occhialuta, io diligente ma non intelligente, io che mi fingevo colta, informata, quando non lo ero, avessi potuto pensare di piacergli anche solo per una vacanza?” (da Storie del nuovo cognome)

Eppure, per un certo verso, mi riconosco in lei. Io non sono mai stata quella brillante, dotata di quel talento naturale che mi facesse emergere e distaccare tutti gli altri senza sforzo. Ogni mio risultato è stato il frutto di uno sforzo immane. Mi è stata appiccicata più volte l’etichetta “geniale”, il più delle volte con un’accezione dispregiativa o sfottente, ma io di geniale non ho proprio niente.
Sono dura di comprendonio e all’università per preparare un esame avevo bisogno della prima lettura, della seconda lettura, della terza lettura e poi di prendere appunti per vedere se riuscivo a mettere per iscritto quello che avevo imparato e quindi se riuscivo a padroneggiarlo, nonché di sedute estenuanti di ripetizioni. Ripetevo mentre mi facevo la doccia, mentre mia madre passava l’aspirapolvere camminandole dietro, dietro, modulando il volume della voce per riuscire in ogni caso a farmi sentire, ripetevo al mio gatto, appollaiato di fronte a me sulla scrivania. 
Ero una bambina grassottella e senza particolari doti atletiche, poi ho iniziato a nuotare e macinando chilometri ho scolpito un corpo che con la sua resistenza ha tenuto botta a due gravidanze senza accusare colpi, ma bastava che saltassi un giorno di allenamenti per sentirmi estranea dentro l’acqua.
Ma, a differenza di Elena, i miei sforzi, i miei sacrifici, non li ho fatti nella speranza di compiacere qualcuno, per ottenere lodi, encomio o riconoscimenti. 
Sono nata presuntuosa, purtroppo, quindi non ho mai sentito il bisogno di dover dimostrare niente a nessuno. Sono nata per faticare e mi piace faticare, ho una determinazione che a volte fa paura agli altri e in questi casi devo schermirmi, prendendomi in giro io per prima con sorrisi forzati.

“Sembravo tranquilla ma ero agitatissima, mi faceva male la faccia per i sorrisi forzati”.
(da Storia di chi resta e di chi fugge)

Lila, invece, è genio e sregolatezza. Troppa sregolatezza, ai limiti del masochismo. Ha un talento naturale, ma non lo sfrutta, rimanendo ferma ad immaginare quello che avrebbe potuto essere, ma non è stata. Senza rimpianti, senza recriminazioni, ma come un passaggio inevitabile della vita che, in continua lotta con sé stessa, lei stessa ha scelto. 

“Lila se ne uscirebbe come ha sempre fatto, Lila mi consiglierebbe: hai sbagliato già abbastanza, sputa in faccia a tutti e vattene”.
(da Storia della bambina perduta)

E’ una manipolatrice e la sua attitudine di servirsi degli altri mi sembra subdola, non una capacità da esibire.

“Di certo era falsa, ed era ingrata, e io malgrado tutti i miei cambiamenti, seguitavo ad esserle subalterna”
(da Storia di chi fugge e di chi resta)

Non mi piace nemmeno del tutto la loro amicizia, poiché troppo spesso il bene che si vogliono è calpestato da invidie reciproche alimentate dalla smania di diventare, di dimostrare, di ricevere apprezzamenti. Una miscela altamente infiammabile di apprensione, astio e affetto.

“C’entriamo sempre e soltanto noi due: lei che vuole che io dia ciò che la sua natura e le circostanze le hanno impedito di dare, io che non riesco a dare ciò che lei pretende; lei che si arrabbia per la mia insufficienza e per ripicca vuole ridurmi a niente come ha fatto con se stessa, io che ho scritto mesi e mesi e mesi per darle una forma che non si smargini, e batterla, e calmarla, e così a mia volta calmarmi”.
(da Storia della bambina perduta)

“Ogni rapporto intenso tra esseri umani è pieno di tagliole e se si vuole che duri bisogna imparare a schivarle”
(da Storia della bambina perduta)

Ma, alla fine, chi è l’amica geniale? Lo sono entrambe, e non lo è nessuna. Insomma, è la loro relazione a renderle geniali e, in virtù di ciò, ciascuna ritiene geniale l’altra per quello che lei non è.


Tuttavia la loro lunga “sororanza” è un intreccio di vite che non può lasciarmi indifferente. 
Noi ci conosciamo da diciotto anni, più di metà vita. Non ci siamo mai imposte di rimanere amiche, semplicemente lo siamo sempre state. 
Io sono fortunata perché la mia amica geniale l’ho trovata e ce l’ho accanto.

P.S. Momento amarcord al tre, due, uno... clicca qui!

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