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Channel: Le pecionate
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Lettera a mio figlio

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Il primo maggio la piccola di casa ha festeggiato il suo primo compleanno e avendo vissuto direttamente sulla mia pelle l'esperienza di organizzare la festa, avevo intenzione di scrivere un post con alcuni trucchetti molto, molto utili.
Invece, è successo che l'altra sera ho litigato con Diego, mio figlio più grande, e una serie di pensieri tumultuosi mi ha ingabbiato il cervello. Così, per rimettere ordine, ho scritto, anzi, gli ho scritto una lettera. 
La voglio condividere perché il Mulino Bianco non esiste - e comunque ci hanno messo dentro Banderas a parlare con le galline quindi fate un po' voi - e non c'è niente di male ad ammettere le proprie debolezze. La cosa più incredibile che potrà succedere sarà decidere di fermarci e di capire se è il caso di tornare su nostri passi, valutando una strada diversa, se quella percorso fino a quel momento non ci ha portato da nessuna parte. La possiamo chiamare umiltà, con una vena poetica, ma anche amorevole tenacia, con maggiore realismo. Insomma, può capitare di essere pessimi, ma accorgersene e fare di tutto per non esserlo più mi sembra già un bel punto di partenza.



Caro Diego,
da pochi giorni hai compiuto un anno come fratello maggiore. Non so dirti che cosa si prova, ma mi viene spontaneo farti i miei più sinceri complimenti. Io non ho fratelli, né sorelle, ma percepisco distintamente la responsabilità che a volte provi, me ne accorgo perché sembra un peso po’ troppo grande per le tue spalle.
Per questo ti voglio ringraziare, ma anche chiedere scusa.
Ti voglio ringraziare per l’amore che hai riversato incondizionatamente su tua sorella. Per come ti preoccupi per lei e la cerchi in continuazione per coinvolgerla nel tuo mondo. Per averla accolta, sacrificando i tuoi spazi. Per averla accettata senza riserve. Perché tu sei contento che lei “è nasciuta” (per usare le tue parole).
Non ti ringrazierò mai abbastanza per essere il fratello che sei. 
Hai amato questa novità sin dall’inizio, scegliendole un nome e chiamandola “Bimba Giulia” per tutto il tempo che è stata dentro la mia pancia, come se voi due foste già stati una coppia affiatata di amici.
Io ti avevo promesso che niente sarebbe cambiato. Che promessa idiota. Non è vero. Non poteva essere vero. 
Come poteva essere vero per il solo fatto che la nostra famiglia passava da tre a quattro teste? Come poteva non cambiare niente se io sempre una rimango, ma chi ha bisogno di me non è più uno, ma due?
Il senso delle mie parole era solo quello di rassicurarti che nessuno avrebbe preso il tuo posto nel mio cuore, che nel cuore di mamma c’è posto per tutti, che se siamo uno più l’amore non si divide, ma si moltiplica.
Ma per il resto ho sbagliato, perché intorno a noi tutto è cambiato, non poteva essere altrimenti, e siamo cambiati noi.
Ieri sera, dopo l’ennesima giornata di urla e pianti, mi sono ritrovata a fissarti mentre dormivi e mi sono detta che sì, tu resti sempre il mio cucciolo, e che no, non è vero che sei grande, che hai tutto il diritto di restare tra le mie braccia stasera, domani e ogni volta che vorrai. E io non ho nessuna valida ragione per non tenerti stretto a me. Ancora un po’. Ancora e sempre.
Soprattutto, poi, mi sono chiesta dove fosse finita quella mamma premurosa e sorridente che sapeva capirti più di ogni altra persona. Perché tu da me venivi se avevi un problema, con me ti fermavi a ragionare, a parlare, perché io e te ci capivamo.
Dove sono finiti i nostri abbracci, quelli che chiudevamo gli occhi mentre ci stringevamo e io ti infilavo il naso tra il collo e la spalla per respirare l’odore della tua pelle? Dove sono finiti i baci? Dove sono finite le nostre dichiarazioni “tanto bene mamma, tanto amore”? Dove sono finiti quegli di ordinari momenti di straordinaria felicità che, scusa, ma mi sta scoppiando il cuore per quanto sono felice? Non te lo so dire.
Tu li hai reclamati, a modo tuo, ma la stanchezza mi ha fatto vedere solo comportamenti irragionevoli e rabbiosi, ai quali ho risposto con altrettanta rabbia. Il problema è che io ho trent’anni e avrei dovuto capire che stavamo sbagliando. Non so a quanto possa servire, ma, per tutta onestà, ti dico che ogni volta che abbiamo litigato e che ho visto la paura velare di bianco i tuoi occhi neri per poi sciogliersi in una cascata di lacrime mi sono sentita come un boia. Perché a farti stare male ero io, la tua mamma. A volte mi sono resa conto di aver sbagliato mentre ancora le stavo pronunciando certe parole, non sono riuscita a rimangiarle, ma ho provato a spazzarle via con uno sguardo d’amore o un abbraccio improvviso. A volte è più comodo pensare di aver sbagliato, che non si poteva fare diversamente, che ormai è troppo tardi per recuperare. Beh, ti assicuro che non è vero. E’ la bugia più grande che un vigliacco si possa raccontare guardandosi allo specchio. E se non vale in generale, ancora di più, non vale per una mamma che non vuole perdere l’amore del proprio bambino.
Caro Diego, tu sei l’amore più profondo che io abbia mai sentito, il senso che ha cambiato la mia vita e non ho nessuna intenzione di rinunciare a te.

Stai fermo lì, mamma sta venendo a prenderti.

Aggiornamento: ho abbassato il tono di voce, ho lasciato correre di più, ho abbracciato più spesso e riso di più. E stiamo tutti meglio!
Ammettere le proprie debolezze è sempre il primo passo per essere meno pessimi, partendo dal presupposto che come farai farai, farai comunque del tutto meglio!

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